Crisi della cultura e coscienza pedagogica
II. Etiche dell’impegno e critica della cultura

Curatore: Madrussan Elena

 

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3.99

II. Etiche dell’impegno e critica della cultura
Letizia Caronia, Se l’esistenza precede l’essenza: la naturalizzazione dell’ideologia nelle pratiche di ricerca
Enza Colicchi, L’azione educativa: questa sconosciuta
Mino Conte, Il contrario della libertà. Parole e figure dell’educazione offesa
Maurizio Fabbri, Quale filosofia (dell’educazione) nel tempo di crisi della Crisi?
Elena Madrussan, Su Alain, intellettuale educatore
Raffaele Mantegazza, Il bambino e l’acqua sporca. Per una apologia dell’insegnare
Paolo Mottana, Sottrazione e intensità: la riappropriazione della vita
Chiara Simonigh, Immagine globale e complessità: un nuovo umanesimo?

 

 

Letizia Caronia, Se l’esistenza precede l’essenza: la naturalizzazione dell’ideologia nelle pratiche di ricerca
All’interno di un orizzonte già delineato da Husserl negli anni ’30,  nel solco della pedagogia fenomenologica e in linea con la sua vocazione antidogmatica,  questo saggio illustra quanto il radicamento delle scienze nel mondo della vita sia tanto tipico delle scienze sociali applicate quanto – in genere – non tematizzato. In particolare, sosterrò la tesi che tale radicamento e soprattutto la sua invisibilizzazione pongano un serio problema per la ricerca in scienze dell’educazione: la naturalizzazione (e dunque la normalizzazione) di quegli stessi “ordini morali” da cui la ricerca empirica dipende. Per illustrare questo fenomeno, analizzerò una delle più ovvie procedure di qualsivoglia ricerca: l’uso delle parole come strumento per rilevare i dati, designare i risultati e divulgare quella peculiare visione del mondo che siamo soliti chiamare “conoscenza scientifica”.

Enza Colicchi, L’azione educativa: questa sconosciuta
Nel saggio si rileva come la ricerca teorico-pedagogica contemporanea accusi la tendenza ad assumere come proprio oggetto esclusivo la determinazione dei fini/valori dell’educazione, omettendo di affrontare la questione relativa alla messa a punto dei relativi mezzi. Dimodoché le risposte che essa offre alla domanda pratica (domanda pedagogica par excellence) “che fare per educare?” concernono unicamente il perché (in senso finale) e non il come (in senso operativo). L’Autrice ipotizza che tale tendenza – che si traduce nella negazione della natura pratica della pedagogia – vada imputata al modello di razionalità tecnico-strumentale che caratterizza il paradigma della “scienza dell’educazione” e sostiene la necessità di porre al centro dell’indagine e della teorizzazione pedagogica l’azione educativa, nella sua intrinseca unità di fini e mezzi.

Mino Conte, Il contrario della libertà. Parole e figure dell’educazione offesa
Il contributo intende scrutare i punti ciechi in cui versa la società ipermoderna governata secondo i principi della catallassi di mercato. In particolare sarà preso in considerazione il modo in cui lo “scatenarsi” della libertà intesa secondo il canone neoliberista abbia generato nuove forme di autoritarismo, di cattura e spossessamento delle forme di vita. Il campo privilegiato di studio, a partire dal quale poter rilevare sintomi e derive dei processi in corso, sarà quello dell’educazione, l’ordine del discorso che lo parla, le nuove figure emergenti, coerenti con la sincronizzazione e sussunzione entro la logica e la teoria dell’ordinamento di mercato. L’analisi tenterà anche di prefigurare in quali termini oggi l’etica dell’impegno coniugata alla critica radicale della cultura possa aprire spiragli d’azione inedita proprio a partire dall’educazione medesima.

Maurizio Fabbri, Quale filosofia (dell’educazione) nel tempo di crisi della Crisi?
Il contributo analizza l’evoluzione del sapere filosofico nel tempo del nichilismo, in relazione alle diverse fasi del suo sviluppo storico politico. I suoi mutamenti in seguito al superamento della tradizione metafisica hanno profondamente trasformato il volto della filosofia, conferendole una tensione pedagogica di fondo, che fa della filosofia stessa una filosofia dell’educazione. Emblematiche, da questo punto di vista, le ragioni che hanno portato l’Unesco a riconoscere e teorizzare il diritto alla filosofia.

Elena Madrussan, Su Alain, intellettuale educatore
La portata pedagogica del pensiero e dell’azione di Emile Auguste Chartier (Alain) viene studiata, in questo saggio, tenendo conto delle strette connessioni che hanno caratterizzato i suoi interessi culturali e la sua attività di intellettuale e di professore di Liceo. Maestro di molti dei futuri intellettuali di spicco della scena novecentesca francese, figura sfuggente ai canoni convenzionali della rappresentazione culturale, Alain non concede primati né all’esperienza educativa né alla riflessione filosofica, prediligendo l’idea che la vita di cultura non abbia altro compito che quello di essere al servizio di un’etica della comprensione e della critica – anche molto polemica – del proprio tempo.
In questa chiave, la severità dei suoi studi si accompagna alla “méthode sévère” del suo pratique educativo e del suo pensiero pedagogico; la varietà dei suoi studi – dalle scienze alla politica, dalla filosofia alla pedagogia, dalla poesia alle arti e alla morale – si raccorda alla pratica del pensiero come esercizio di libertà, anche a scuola; l’educazione interiore si realizza nella relazione tra “governo”, coraggio delle proprie passioni e finezza dell’“intendere”.

Raffaele Mantegazza, Il bambino e l’acqua sporca. Per una apologia dell’insegnare
In questi decenni, anche grazie all’intelligenza lucida di persone come Antonio Erbetta, abbiamo sottoposto l’educazione ad ogni sorta di critica; l’abbiamo giustamente attaccata da un punto di vista marxista e post-marxista, strutturalista ed ermeneutico, politico e psicanalitico. Ma adesso che abbiamo finalmente capito che l’educazione è un Apparato ideologico di Stato, un dispositivo di potere, un meccanismo proiettivo, siamo sicuri di avere detto proprio tutto? E che l’educazione invece non sia anche un autentico rapporto umano che allo sguardo di un nuovo umanesimo possa svelarsi i tutta la sua potenza utopica?

Paolo Mottana, Sottrazione e intensità: la riappropriazione della vita
Al demone della saturazione che stritola le nostre vite in un groviglio di impegni sempre più stretto di cui si fatica però a comprendere il senso che non sia occupazione produttivistica del tempo, qui si vuole testimoniare l’impegno nella direzione di un lavoro di “sottrazione”, fatto di dissipazione e riappropriazione vitale.
Si tratta di punteggiare la realtà di inceppamenti, di blocchi, di vuoti. Con l’esplicito obiettivo di riprendere il proprio tempo, di riposare, di chiedere ritmi di lavoro diversi, di redistribuirlo, di limitare la crescita, di rivalutare l’operosità non a fini di lucro, la libera ricerca, le pratiche dissipative e improduttive, l’ozio, la dimensione della lentezza e dell’ozio.
Insieme alla sottrazione occorre però sempre e sempre meglio saper dire di sì alla vita, secondo un’indole vitalista e dionisiaca, fecondata da un’etica dell’intensità che riposi in una filosofia del piacere.
In questa prospettiva, approfondita nei suoi diversi punti di affioramento nel saggio, si colloca l’idea di una svolta pedagogica in termini di “gaia educazione” e di “educazione diffusa”, ultimi avamposti del mio personale percorso di riabilitazione di una tradizione, quella fourierista e nicciana, che potrebbe infondere nuova linfa a un mondo -spesso anche quello del dibattito in educazione- sempre più esausto e involuto.

Chiara Simonigh, Immagine globale e complessità: un nuovo umanesimo?
«Essere spettatori globali — ha scritto Zygmunt Bauman — significa esporsi a una gigantesca sfida etica».
Come la lingua di Esopo, la cultura mediatica globale, che è in gran parte cultura visuale, può offrire oggi al mondo intero il meglio o il peggio: dalla strumentalizzazione degli istinti primordiali in nome dello show business allo sviluppo della comprensione dell’alterità dell’altro; dalla spettacolarizzazione del male alla responsabilizzazione del cittadino globale.
La condivisione nel mondo della medesima cultura visuale può costituire perciò allo stesso tempo una minaccia o una possibilità senza precedenti nella storia umana.
Non stupisce quindi se un regista e fotografo come Wenders sostenga che non vi sia obiettivo più grande, in questo XXI secolo, se non colmare il divario tra coloro che hanno gli strumenti e coloro che non li hanno, tra coloro che vedono e sanno e tra coloro che non vedono e non sanno (W. Wenders, M. Zournazi, Inventing Peace: a Dialogue on Perception, 2013).
Il testo affronterà alcuni aspetti del rapporto fra l’immagine tecnologica e la comprensione dell’altro nell’epoca di globalizzazione, attraverso l’interpretazione del film-manifesto di Wenders-Salgado, The Salt of Earth, un’opera paradigmatica sull’atto del vedere come affermazione di responsabilità.

Dimensioni

150 mm x 230 mm

Anno di Pubblicazione

Pagine

Lingua

Genere

,

Collana

Autore

AA.VV.

Curatore

Madrussan Elena

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