I. Giovinezza e formazione
I giovani e il senso. Conversazione con Miguel Benasayag, a cura di Elena Madrussan e Gianluca Giachery
Paolo Bertinetti, Fatti e fantasia. Ovvero, Dickens e la pedagogia utilitaristica
Antonella Cagnolati, Tra mitopoietica e ribellione. Giovani, formazione e controcultura negli anni Sessanta
Silvano Calvetto, Tra rappresentazioni sociali e istanze educative. I giovani degli anni cinquanta
Mariagrazia Contini, “Tenere care le domande”. L’età giovanile nell’epoca delle passioni “tiepide”
Massimiliano Fiorucci, Giovani in transizione. I nuovi italiani tra doppia appartenenza e doppia assenza
I giovani e il senso. Conversazione con Miguel Benasayag, a cura di Elena Madrussan e Gianluca Giachery
Quello del rapporto tra i giovani e il senso (dell’esistenza, delle cose del mondo, della propria identità) è da sempre un tema rilevante e problematico, sia quando esso prefigura una rappresentazione del futuro, sia quando esso sembra venire meno o, addirittura, svanire. Nell’intreccio – necessario – tra punti d’osservazione (il giovane, l’educatore, il terapeuta, il genitore) e piani discorsivi (psicoanalitico, economico, socio-culturale, politico), Miguel Benasayag evidenzia come la pressione performativa del “funzionare”, tipica dell’utilitarismo neoliberista, abbia sostituito le strutture di senso costitutive dell’identità individuale. Attraverso una serie di significative esemplificazioni – dai giovani delle banlieux e delle periferie del mondo al ruolo del terapeuta stesso –, la nuova espressione della crisi identitaria e culturale maturata con l’assenza di conflitto come strumento di significazione disegna scenari complessi, che chiamano urgentemente in causa la funzione educativa degli adulti.
Paolo Bertinetti, Fatti e fantasia. Ovvero, Dickens e la pedagogia utilitaristica
Tempi difficili affronta uno dei temi che a Dickens più stavano a cuore: l’educazione dei fanciulli. Nel capitolo iniziale del romanzo il Superintendent della scuola della città di Coketown ordina agli scolari di
attenersi ai Fatti; e di vietarsi la fantasia, vista come fonte di inganno e di falsità. Tutto deve basarsi sui fatti e tutto deve basarsi su un’arida razionalità, escludendo l’immaginazione. In quello stesso primo capitolo c’è anche una critica nascosta a Henry Cole, che era stato nominato il dirigente del dipartimento ministeriale di Practical Art. Sia il personaggio storico che quello romanzesco applicano in ambito pedagogico i principi di quella dottrina che fu chiamata Utilitarismo: ed entrambi sono ridicolizzati da Dickens nella sua “campagna” a favore della promozione della creatività nell’educazione dei bambini.
Questo tema è presente in molti dei romanzi di Dickens, che aveva un atteggiamento critico anche nei confronti dei principi didattici di Wiliam Ellis (il fondatore delle Birkbeck Schools), il quale, tra l’altro, poneva l’accento sulla necessità di insegnare ai bambini i rudimenti dell’economia politica. A Dickens sfuggiva il valore “formativo” di quella didattica mirata a creare bravi sudditi, alieni dal mettere in discussione le logiche economiche e sociali dominanti; ma non gli sfuggiva la lontananza delle Birkbeck Schools dalla sua richiesta di dare spazio nella scuola all’esercizio della fantasia da parte dei fanciulli.
Antonella Cagnolati, Tra mitopoietica e ribellione. Giovani, formazione e controcultura negli anni Sessanta
Il contributo mira a ricostruire la complessa edificazione di una cultura di massa giovanile a partire dagli anni Sessanta, puntando sulla ricostruzione di un immaginario simbolico fatto di ribellismo e nuovi miti della musica e del cinema che mira alla creazione di una serie di figure carismatiche che fanno breccia tanto da assurgere a “divinità”, interiorizzandone atteggiamenti e comportamenti. Gli idoli vengono assimilati dai giovani italiani che vedono in loro strumenti per una forma di critica alla società dei padri, renitente a qualsiasi tentativo di trasformazione e rigida nel suo autoritarismo. Miti e icone diventeranno figure alle quali ispirarsi nella lotta posta in essere dai giovani universitari durante il ’68.
Silvano Calvetto, Tra rappresentazioni sociali e istanze educative. I giovani degli anni cinquanta
Dalla metà degli anni cinquanta comincia a manifestarsi anche in Italia uno specifico interesse verso il tema della condizione giovanile. Soprattutto durante gli anni del boom economico prende corpo un filone di inchieste sociali orientate ad indagare la vita dei giovani tanto nei suoi aspetti materiali quanto in quelli relativi all’immaginario, sondandone aspirazioni, gusti, stili di vita, abitudini ecc. Ne esce un quadro interpretativo sostanzialmente omogeneo: essi risultano prevalentemente estranei agli ideali civili e politici, sono curvati sul loro personale, guardano al lavoro in modo per lo più strumentale, e non di meno alla loro esperienza scolastica, occupano il tempo libero assecondando i bisogni indotti dalla società dei consumi, entro una dialettica generazionale dove preponderanti sembrano ancora gli aspetti di tipo conformistico. Un’omogeneità di sguardo, tuttavia, che fatica a cogliere certi elementi di rottura presenti nel mondo giovanile, i quali si inscrivono entro i processi di profonda trasformazione sociale che il paese sta attraversando, dove i codici del passato stanno entrando in crisi e quelli nuovi si vanno affermando tra non poche difficoltà. Fenomeni che interpellano le scienze sociali in modo nuovo e che costringono a ripensare gli stessi modelli educativi attraverso i quali prende corpo la trasmissione culturale da una generazione all’altra. Una presa di consapevolezza, in ogni caso, che non sarà priva di contraddizioni e reticenze, cogliendo solo in parte il significato dei mutamenti che si stanno compiendo.
Mariagrazia Contini, “Tenere care le domande”. L’età giovanile nell’epoca delle passioni “tiepide”
All’epoca delle passioni tristi sembra stia subentrando, per i nostri giovani, quella delle “passioni tiepide”: pochi slanci e scarso entusiasmo nei confronti dei temi sociali e politici, mentre latitano l’impegno e la disponibilità a costruire relazioni significative in termini amicali e sentimentali. Nel frattempo, full immersion nell’informazione, nella virtualità degli scambi, nella velocità dei consumi che esauriscono rapidamente il fascino della loro offerta. Si può, e come, connotare di senso una proposta educativa che – rilkianamente – prospetti tempi lunghi e distesi per lasciarsi interrogare dalle domande dell’esistenza?
Massimiliano Fiorucci, Giovani in transizione. I nuovi italiani tra doppia appartenenza e doppia assenza
Dopo aver presentato il quadro aggiornato della presenza nella scuola italiana dei cosiddetti allievi con cittadinanza non italiana, il contributo si sofferma, in particolare, sulle seconde generazioni con specifica attenzione ai problemi identitari, alle criticità e alle potenzialità di questi “pionieri involontari di un’identità nazionale in trasformazione”. Le cosiddette “seconde generazioni”, infatti, in conseguenza di diverse variabili possono trovarsi ad oscillare tra “doppia assenza” e “doppia appartenenza” e possono svolgere, se adeguatamente sostenute, un positivo ruolo di “mediazione” interculturale.
I giovani di seconda generazione, infatti, non sembrano disposti ad accettare il profilo di inserimento socio-economico e culturale dei propri genitori definito nei termini di un’integrazione subalterna e si orientano verso professioni più qualificate, che godono di maggiore riconoscimento sociale. Le cosiddette seconde generazioni, infine, mettono sotto pressione le tradizionali istituzioni di mediazione: la famiglia e la scuola. Se si vuole garantire un processo di democrazia reale che favorisca la coesione sociale sia la scuola sia la società debbono aprirsi ad un autentico dialogo interculturale.
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