Il libro di Kinglake fu lodato e amato da Henry James, Graham Greene, Peter Fleming, Evelyn Waugh, Peter Byron, Paul Theroux, Bruce Chatwin: come dire, il Gotha degli scrittori-viaggiatori dell’Otto-Novecento.
Il motivo è forse nel fatto che anziché raccontare semplicemente ciò che vede, Kinglake racconta ciò che prova, ciò che sente. E, grazie al cielo, la sua penna è particolarmente fortunata, il suo stile profondamente piacevole e il suo humor coinvolgente. Dai Balcani a Costantinopoli, a Smirne, a Cipro, poi in Palestina e, proseguendo, nel deserto del Sinai, al Cairo e quindi, sulla via del ritorno, a Damasco, a Beirut e infine sull’altopiano anatolico, per ritornare in Europa: così il giovane e benestante Kinglake compie il tradizionale giro in Oriente, ma il suo libro non è affatto tradizionale o paragonabile ad altri resoconti di viaggio.
È un’opera unica e una lettura appassionante: come disse Kinglake, l’unica cosa difficile del libro è il titolo, Eothen (dal greco, “verso l’aurora”). Secondo la Cambridge History of English Literature, il libro di Kinglake sarebbe “forse il più bel racconto di viaggio scritto in lingua inglese”.
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